un altro aspetto inquietante dei Suv, oltre alla loro inconciliabilità con una corretta e civile circolazione urbana, inconciliabilità che diviene palese allorquando vengono concepiti, e talvolta usati, come armi potenziali di distruzione degli altri (minori) veicoli e dei relativi utenti della strada (pedoni, ciclisti, motociclisti e conducenti di auto di piccola e media cilindrata), è costituito dai vetri neri che impediscono di vedere chi c’è dentro. Può quindi presentare un certo interesse domandarsi, di fronte a un accessorio che fa dei Suv altrettanti funerei messaggeri di Plutone, dio dei morti e della ricchezza, quale sia il significato della scelta di oscurare i vetri: un modo per garantire la ‘privacy’ o un’esibizione di superiorità?
Vale la pena di osservare che, se il codice della strada non ponesse dei limiti alla possibilità di oscurare i vetri e di ridurre in tal modo il campo di visibilità del conducente, nulla impedirebbe di montare vetri ‘fumé’ non solo sulla parte posteriore dell’autovettura, ma sull’intera superficie disponibile (come avviene in quei paesi dell’est, dove, per proteggersi dal malocchio, i nuovi ricchi circolano a bordo di auto di grossa cilindrata con i vetri interamente oscurati). In questo vezzo della neoborghesia prodotta dalla globalizzazione si esprime, tuttavia, anche un’altra pulsione, il cui significato può essere decifrato in questi termini: io mi tutelo dal malocchio, ma tu devi invidiarmi perché non mi vedi. Una simile tendenza rovescia in modo speculare uno dei princìpi base della modernità, la trasparenza, e, come avviene in altri settori della vita sociale, segna la regressione all’epoca premoderna. Il vetro è infatti nemico del possesso e, come tale, è stato utilizzato dagli architetti modernisti, sia nella progettazione delle case che in quella delle auto (che sono un ‘anàlogon’ delle case), per abolire la distinzione tra pubblico e privato su cui era fondata la cultura borghese dell’Ottocento.
Che dire, pertanto, di questi emissari dell’Ade, che imperversano sulle nostre strade? Solo una cosa ancora: che sono, in genere, gli stessi che durante il periodo prenatalizio collocano, appesi alle corde, a cavalcioni sui terrazzi, lungo i muri e sotto le finestre delle loro case, quei poveri Babbi Natale che cercano di entrarvi di soppiatto come ladri, simboli grotteschi, come i nanetti nel giardino, di una mentalità paranoica sospesa tra la sindrome ansiosa di carattere proprietario-securitario e la ripulsa degli altri, l’esorcismo contro il malocchio e il gesto apotropaico. Ecco perché non si può fare a meno, al cospetto di un simile carnevale in cui l’arroganza, la vanagloria e la superstizione si dànno la mano, di simpatizzare con il movimento di liberazione dei nanetti e dei Babbi Natale e non si può restare indifferenti, guardando quel film potente che è “Il profeta”, alla scena in cui viene descritto l’assalto a un Suv.
Vale la pena di osservare che, se il codice della strada non ponesse dei limiti alla possibilità di oscurare i vetri e di ridurre in tal modo il campo di visibilità del conducente, nulla impedirebbe di montare vetri ‘fumé’ non solo sulla parte posteriore dell’autovettura, ma sull’intera superficie disponibile (come avviene in quei paesi dell’est, dove, per proteggersi dal malocchio, i nuovi ricchi circolano a bordo di auto di grossa cilindrata con i vetri interamente oscurati). In questo vezzo della neoborghesia prodotta dalla globalizzazione si esprime, tuttavia, anche un’altra pulsione, il cui significato può essere decifrato in questi termini: io mi tutelo dal malocchio, ma tu devi invidiarmi perché non mi vedi. Una simile tendenza rovescia in modo speculare uno dei princìpi base della modernità, la trasparenza, e, come avviene in altri settori della vita sociale, segna la regressione all’epoca premoderna. Il vetro è infatti nemico del possesso e, come tale, è stato utilizzato dagli architetti modernisti, sia nella progettazione delle case che in quella delle auto (che sono un ‘anàlogon’ delle case), per abolire la distinzione tra pubblico e privato su cui era fondata la cultura borghese dell’Ottocento.
Che dire, pertanto, di questi emissari dell’Ade, che imperversano sulle nostre strade? Solo una cosa ancora: che sono, in genere, gli stessi che durante il periodo prenatalizio collocano, appesi alle corde, a cavalcioni sui terrazzi, lungo i muri e sotto le finestre delle loro case, quei poveri Babbi Natale che cercano di entrarvi di soppiatto come ladri, simboli grotteschi, come i nanetti nel giardino, di una mentalità paranoica sospesa tra la sindrome ansiosa di carattere proprietario-securitario e la ripulsa degli altri, l’esorcismo contro il malocchio e il gesto apotropaico. Ecco perché non si può fare a meno, al cospetto di un simile carnevale in cui l’arroganza, la vanagloria e la superstizione si dànno la mano, di simpatizzare con il movimento di liberazione dei nanetti e dei Babbi Natale e non si può restare indifferenti, guardando quel film potente che è “Il profeta”, alla scena in cui viene descritto l’assalto a un Suv.
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